Domenica XXVI Settembre Anno Domini 1458 ciminciava, nella tarda serata, il Convegno Teologico di dialogo delle fedi Aristotelica e Spinozista presso l'Accademia di Venezia. Tutti sapevano che si trattava di un evento unico nella storia, che mai s'era visto a memoria d'uomo. L'attesa aveva preso molti studiosi già da mesi, e finalmente tutto era pronto affinchè si potesse dare inizio. Padre Eckart sentiva, nonostante la provata esperienza nelle cose del mondo, tutto il peso della responsabilità. Ciononostante assaporava anche per sè, per la gloria dell'Altissimo, quello che considerava un arrivo della sua vita, quasi pensando di essere vissuto affinchè questo giorno potesse arrivare. Fin da giovane aveva approfondito la filosofia, poi molto lo aveva portato lontano da quel suo primo amore, cose felicissime e gioiosissime, e cose dolorosissime... fino all'abbandono nella fede, all'approfondimento della Virtù, e all'insegnamento ai giovani, verso cui riponeva un'incommensurabile stima. Nessuno avrebbe mai pensato per lui un destino da Domenicano, eppure quella era necessariamente e fortemente la volontà del Signore, che ormai guidava i suoi passi e lo illuminava nella domanda, alla luce del mistero.
Ora... questo vecchio frate, che alcuni avrebbero detto semplicemente un povero parroco, e altri avrebbero dipinto con i toni della più fine morale, saliva in cattedra per parlare ai Teologi di tutta Italia, i maggiori fra essi, assieme ovviamente alle genti, venute da ogni dove, anche solo per ascoltare.
Un pezzo del suo cuore era certamente rivolto ai suoi figli e alla sua famiglia, che conosceva il suo patire di sempre, potendo riconoscere in lui il significato del suo agire e discorrere di sempre, persino nei suoi momenti più burberi o ilari.
Un altro pezzo di cuore era rivolto a quell'altra più grande famiglia che era la Santa Chiesa Aristotelica, e primariamente all'Ordine di San Domenico, che rappresentava la sua salvezza negli anni più bui ed incerti, più faticosi, persino di gravissimo lutto.
Poi c'era il pensiero per gli amici, quelli veri, i vecchi e i nuovi.
A tutti costoro il padre dedicò uno sguardo che si spanse circolarmente, e che comunicò un misto di sentimenti esatti ma fusi tra loro, eppure netti: c'era il timore per ciò che si sarebbe detto, per quello che sarebbe potuto succedere, c'era l'orgoglio di poter finalmente dire alle distanze, raccogliendole in un'unica sala, c'era il coraggio di farlo, c'era il piacere di ricevere, c'era la voglia di dedicare, e la possibilità di servire: servire il dialogo, e per questo servire Dio.
Tutto ciò seguì il Padre mentre salì, quel giorno, in cattedra, per esprimere un significato già trasceso, già immensamente più grande di lui, già storico, e per ciò spirituale.
Gli occhi di padre Eckart, in quel momento, erano fermi e decisi, il cuore finalmente tenuto saldo dalla ragione.
Schiarì la voce aprì le braccia, e si preparò a dire qualcosa di preparato non sulla carta, ma nell'anima, con la vita stessa.
Ora... questo vecchio frate, che alcuni avrebbero detto semplicemente un povero parroco, e altri avrebbero dipinto con i toni della più fine morale, saliva in cattedra per parlare ai Teologi di tutta Italia, i maggiori fra essi, assieme ovviamente alle genti, venute da ogni dove, anche solo per ascoltare.
Un pezzo del suo cuore era certamente rivolto ai suoi figli e alla sua famiglia, che conosceva il suo patire di sempre, potendo riconoscere in lui il significato del suo agire e discorrere di sempre, persino nei suoi momenti più burberi o ilari.
Un altro pezzo di cuore era rivolto a quell'altra più grande famiglia che era la Santa Chiesa Aristotelica, e primariamente all'Ordine di San Domenico, che rappresentava la sua salvezza negli anni più bui ed incerti, più faticosi, persino di gravissimo lutto.
Poi c'era il pensiero per gli amici, quelli veri, i vecchi e i nuovi.
A tutti costoro il padre dedicò uno sguardo che si spanse circolarmente, e che comunicò un misto di sentimenti esatti ma fusi tra loro, eppure netti: c'era il timore per ciò che si sarebbe detto, per quello che sarebbe potuto succedere, c'era l'orgoglio di poter finalmente dire alle distanze, raccogliendole in un'unica sala, c'era il coraggio di farlo, c'era il piacere di ricevere, c'era la voglia di dedicare, e la possibilità di servire: servire il dialogo, e per questo servire Dio.
Tutto ciò seguì il Padre mentre salì, quel giorno, in cattedra, per esprimere un significato già trasceso, già immensamente più grande di lui, già storico, e per ciò spirituale.
Gli occhi di padre Eckart, in quel momento, erano fermi e decisi, il cuore finalmente tenuto saldo dalla ragione.
Schiarì la voce aprì le braccia, e si preparò a dire qualcosa di preparato non sulla carta, ma nell'anima, con la vita stessa.