Padre Eckart ammirava fratello Onidala e fratello Dragonenero, non lo aveva mai nascosto, sempre lo aveva dichiarato. Ciò che pensava e diceva di loro lo si poteva ora osservare nel suo silenzioso sguardo, rivolto alla trottola mistica.
Quanta grandezza in quell'ultimo discorso risuonato in aula, e in quell'atteggiamento di Padre Onidala, grande fra i grandi, capace di farsi fra i più unili... esempio davvero tra i più riusciti di tradizione Monastica e Cistercense. Quanta capacità di comprensione in quell'indescrivibile semplicità dell'anima.
Il Direttore osservava e ascoltava, soprattutto, imparava... imparava che ancora, e sempre, sarebbe stato necessario chinare il capo ai suo Padri Spirituali, veri e propri Maestri, si convinceva che passi avanti potevano essere fatti verso la comprensione per il treamite dell'umiltà, si augurava che questo messaggio passasse nei cuori dei presenti.
Un poco si rammaricava al ricordo del suo atteggiamento qualche volta altezzoso e saccente nel corso delle lezioni a Fornovo. Felice si immaginava più mansueto, dopo il Convegno Veneziano, nella prosecuzione di quegli stessi corsi, da tempo abbandonati, con animo irrequieto. In Eckart sopravviveva anche questo, i più intimi conoscenti lo sapevano, i più saggi lo avevano perdonato per questo, e addirittura ricoperto d'affetto.
Un leggero imbarazzo, anche, lo attraversava in quel momento, che rendeva più marcato il divario fra la preziosità accademica e la scelta di povertà.
La moltiplicazione dei pensieri si faceva in lui in maniera esponenziale e marcatamente emotiva, quasi sentendo la vibrazione netta dell'interiorità. Se qualcuno gli avesse avvicinato la mano al petto avrebbe scoperto un ritmo deciso, se avesse avvicinato l'orecchio avrebbe scperto la timbrica dell'amore nei confronti della vita e di Colui che la muove.
Si decise solo dopo una certa sopraffazione a parlare, era la responsabilità de momento più forte, non poteva correre il rischio di pensare solo a se stesso.
Prima però cercò in Pascal un'incontro d'occhi, provando a far passare qualcosa di riservato solo a lui, una sorta di insegnamento implicito, sulla scia del non detto... quasi cercando di placare un tormento che sentiva in lui, certamente infuocato di fede, giovanile, provando a richiamare le corde della docilità: avrebbe tanto voluto accarezzargli il capo, ma sarebbe stato un gesto non indicato all'uomo deciso ed energico che stava diventando. Gli sorrise.
Lo stesso sorriso, quasi senza interrompersi, si fece più dolce ne voltarsi verso Fenice. A lei disse: Per fare della buona musica, voi mi insegnate, serve molto esercizio, talvolta estenuante nella ripetizione e nella ripartizione delle regole, ma poi arriva un momento in cui tutto si supera, in cui il regime si spezza, più efficacemente se più fluidamente, e tutto l'appreso diviene arte. Così nella morale: per noi frati la pratica è preghiera, ascolto, studio, riflessione, e anche confessione, curiosità di Dio, tutto questo si fonde nella fede, nel credo, dove tutto si unisce verso l'Altezza del Signore, il solo punto di riferimento del nostro servire e del nostro essere. Non so quanto questo discorso sia pratico, non so quanto, nell'incontro tra le cause e gli effetti, ci si possa immaginare il mosso, il rimosso, il movente... Anche per questo, incontriamo talvolta l'ilarità del mondo, di ciò che ha bisogno di definirsi civile, sociale, statale, e quant'altro. Quando però poi interpretiamo correttamente la morale ci rendiamo conto tutti di quanto questo sia fondamentalmente comunitario, perchè comune a tutti, ovvero essenziale all'essere umano per ciò che egli è, per come è stato stabilito dall'Ordine Divino. Mi spiace se da me non vodrete indicati buoni precetti, io ho sempre sperato che l'esempio, anche delle condotte, dovesse provenire dal cuore e dalla ragione nella loro commistione armonica facentesi all'unisono... Ditemi voi, che siete di certo più laica di me, dove sbaglio.
Per l'Admor Gianlupo, Padre Eckart ebbe pronte queste parole: "Quasi vi preferisco quando fate spallucce di quando sorridete... mi sembrate più reale, più voi stesso, e perdonatemi se mi azzardo a dirvelo: il rischio qui è nella confidenza che credo ormai di potervi dare... ma contraddicetemi pure, se ho male interpretato. Sono sicuro che ci sia ricchezza in voi e nei vostri fratelli e sorelle spinoziste: se avete qualcosa di bello da mostrarci e da dire sul tema della giustizia, ditelo, senza timore: che paura si dovrebbe mai avere nel mostrare qualcosa di bello agli altri per farli partecipi della bellezza. Qui, secondo me, nasce giustizia, nella capacità di donare, di donarsi... per questo ammiro e apprezzo tutti i vostri sforzi, per questo mi piacerebbe ascoltare anche coloro che vi assistono, gli altri membri della vostra comunità, che mi paiono troppo in sordina! Ancora... perdonatemi l'appunto, è l'appunto che muoverei ad un amico.
Infine, in maniera quasi eclatante, si inginocchiò al cospetto di Padre Onidala... e flebilmente, quasi sussurrando: Padre, come sempre fate di me un uomo nuovo! La vostra fede sa di salvezza per me!
Lì rimase, riconquistato dall'estasi.
Quanta grandezza in quell'ultimo discorso risuonato in aula, e in quell'atteggiamento di Padre Onidala, grande fra i grandi, capace di farsi fra i più unili... esempio davvero tra i più riusciti di tradizione Monastica e Cistercense. Quanta capacità di comprensione in quell'indescrivibile semplicità dell'anima.
Il Direttore osservava e ascoltava, soprattutto, imparava... imparava che ancora, e sempre, sarebbe stato necessario chinare il capo ai suo Padri Spirituali, veri e propri Maestri, si convinceva che passi avanti potevano essere fatti verso la comprensione per il treamite dell'umiltà, si augurava che questo messaggio passasse nei cuori dei presenti.
Un poco si rammaricava al ricordo del suo atteggiamento qualche volta altezzoso e saccente nel corso delle lezioni a Fornovo. Felice si immaginava più mansueto, dopo il Convegno Veneziano, nella prosecuzione di quegli stessi corsi, da tempo abbandonati, con animo irrequieto. In Eckart sopravviveva anche questo, i più intimi conoscenti lo sapevano, i più saggi lo avevano perdonato per questo, e addirittura ricoperto d'affetto.
Un leggero imbarazzo, anche, lo attraversava in quel momento, che rendeva più marcato il divario fra la preziosità accademica e la scelta di povertà.
La moltiplicazione dei pensieri si faceva in lui in maniera esponenziale e marcatamente emotiva, quasi sentendo la vibrazione netta dell'interiorità. Se qualcuno gli avesse avvicinato la mano al petto avrebbe scoperto un ritmo deciso, se avesse avvicinato l'orecchio avrebbe scperto la timbrica dell'amore nei confronti della vita e di Colui che la muove.
Si decise solo dopo una certa sopraffazione a parlare, era la responsabilità de momento più forte, non poteva correre il rischio di pensare solo a se stesso.
Prima però cercò in Pascal un'incontro d'occhi, provando a far passare qualcosa di riservato solo a lui, una sorta di insegnamento implicito, sulla scia del non detto... quasi cercando di placare un tormento che sentiva in lui, certamente infuocato di fede, giovanile, provando a richiamare le corde della docilità: avrebbe tanto voluto accarezzargli il capo, ma sarebbe stato un gesto non indicato all'uomo deciso ed energico che stava diventando. Gli sorrise.
Lo stesso sorriso, quasi senza interrompersi, si fece più dolce ne voltarsi verso Fenice. A lei disse: Per fare della buona musica, voi mi insegnate, serve molto esercizio, talvolta estenuante nella ripetizione e nella ripartizione delle regole, ma poi arriva un momento in cui tutto si supera, in cui il regime si spezza, più efficacemente se più fluidamente, e tutto l'appreso diviene arte. Così nella morale: per noi frati la pratica è preghiera, ascolto, studio, riflessione, e anche confessione, curiosità di Dio, tutto questo si fonde nella fede, nel credo, dove tutto si unisce verso l'Altezza del Signore, il solo punto di riferimento del nostro servire e del nostro essere. Non so quanto questo discorso sia pratico, non so quanto, nell'incontro tra le cause e gli effetti, ci si possa immaginare il mosso, il rimosso, il movente... Anche per questo, incontriamo talvolta l'ilarità del mondo, di ciò che ha bisogno di definirsi civile, sociale, statale, e quant'altro. Quando però poi interpretiamo correttamente la morale ci rendiamo conto tutti di quanto questo sia fondamentalmente comunitario, perchè comune a tutti, ovvero essenziale all'essere umano per ciò che egli è, per come è stato stabilito dall'Ordine Divino. Mi spiace se da me non vodrete indicati buoni precetti, io ho sempre sperato che l'esempio, anche delle condotte, dovesse provenire dal cuore e dalla ragione nella loro commistione armonica facentesi all'unisono... Ditemi voi, che siete di certo più laica di me, dove sbaglio.
Per l'Admor Gianlupo, Padre Eckart ebbe pronte queste parole: "Quasi vi preferisco quando fate spallucce di quando sorridete... mi sembrate più reale, più voi stesso, e perdonatemi se mi azzardo a dirvelo: il rischio qui è nella confidenza che credo ormai di potervi dare... ma contraddicetemi pure, se ho male interpretato. Sono sicuro che ci sia ricchezza in voi e nei vostri fratelli e sorelle spinoziste: se avete qualcosa di bello da mostrarci e da dire sul tema della giustizia, ditelo, senza timore: che paura si dovrebbe mai avere nel mostrare qualcosa di bello agli altri per farli partecipi della bellezza. Qui, secondo me, nasce giustizia, nella capacità di donare, di donarsi... per questo ammiro e apprezzo tutti i vostri sforzi, per questo mi piacerebbe ascoltare anche coloro che vi assistono, gli altri membri della vostra comunità, che mi paiono troppo in sordina! Ancora... perdonatemi l'appunto, è l'appunto che muoverei ad un amico.
Infine, in maniera quasi eclatante, si inginocchiò al cospetto di Padre Onidala... e flebilmente, quasi sussurrando: Padre, come sempre fate di me un uomo nuovo! La vostra fede sa di salvezza per me!
Lì rimase, riconquistato dall'estasi.